Affidamento condiviso, eppur si muove

Affidamento condiviso, eppur si muove

Ultimamente si è tornati a parlare di affidamento condiviso, soprattutto da quando lo scorso marzo il Tribunale di Brindisi ha emesso le “Linee guida per la Sezione Famiglia”, in cui si legge che “la residenza dei figli ha valenza puramente anagrafica, mancando qualsiasi differenza giuridicamente rilevante tra il genitore co-residente e l’altro”, che “i figli saranno domiciliati presso entrambi i genitori” e che agli stessi “dovranno essere concretamente concesse pari opportunità di frequentare l’uno e l’altro genitore, in funzione delle loro esigenze, all’interno di un modello di frequentazione mediamente paritetico”.

Viene di fatto a cadere la prassi che prevedeva un genitore collocatario (la madre) e un genitore non collocatario (quasi sempre il padre), beneficiario di un magro diritto di visita, fatto, nella migliore delle ipotesi, di un pomeriggio con pernottamento alla settimana e weekend alternati.

L’affidamento condiviso con collocazione alternata paritetica prevede che i figli abbiano due domicili in cui possano “depositare” in maniera stabile e costante i propri oggetti: entrambe le case devono essere sentite come proprie e, pertanto, essere munite di tutto il necessario, giochi compresi. Lo spostamento, idealmente con frequenza settimanale, non comporterebbe così un “trasloco”, come tanti asseriscono, poiché entrambe le case sarebbero ugualmente attrezzate. In tal senso, i libri costituirebbero forse la fatica maggiore.

Al riguardo il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi ha espressamente affermato che “nel bilancio complessivo della salute dei figli, è per loro meno sacrificio perdere un po’ di tempo a frequentare due case che non la possibilità di vivere un riferimento in entrambi i genitori”, rafforzando poi la propria posizione con la proposta in Commissione Giustizia del Senato (ddl 957 e 2456) di alcune soluzioni per la tutela dei minori in situazioni di separazione:

  • frequentazione equilibrata tra genitori e figli;
  • doppio riferimento abitativo, attraverso la doppia domiciliazione, in modo che i figli possano percepire come propria sia la casa della madre sia quella del padre;
  • gestione bilanciata e compartecipata dei compiti di cura e accudimento da parte dei genitori per consentire ai figli di constatare che entrambi provvedono alle loro necessità, anche di tipo economico.

Per quale motivo allora in Italia la percentuale di affidamenti condivisi con collocazione alternata/paritetica è ferma al 2%? Perché tanta differenza con altri Paesi? (40% in Svezia, 30% in Belgio e 17% in Francia, percentuale solo apparentemente minore, visto e considerato che nei casi di collocazione prevalente presso uno dei genitori il dislivello temporale è riequilibrato da lunghi tempi di permanenza del minore durante le vacanze scolastiche dal genitore che frequenta di meno nella quotidianità).

Sembra che il nostro Paese in ambito giuridico in materia di separazione sia stato guidato da un pregiudizio socioculturale che ha resistito ai cambiamenti evolutivi del ruolo e delle funzioni genitoriali: è infatti sotto gli occhi di tutti che i padri di oggi non sono più distanti e assenti rispetto alla cura e all’affettività della prole come lo erano 40 anni fa. Né, d’altra parte, esistono studi o ricerche che evidenzino un “danno” a carico dei figli nell’avere due abitazioni e nel trascorrere tanto tempo sia con la mamma che con il papà. Anzi, gli studi in campo internazionale in cui è stata fatta esperienza maggiore di affidamento condiviso con collocazione alternata paritetica dimostrano il contrario.

Per esempio, lo studio dal titolo “Conséquences de la séparation parentale chez l’enfant” (Poussin, Martin-Lebrun, 1999) afferma che “i bambini che vivono con entrambi i genitori hanno maggiori livelli di autostima e si percepiscono più sicuri di se stessi, se paragonati con quelli che vivono con un solo genitore”.

Quello di Bauserman dal titolo “Child adjustment in joint custody versus sole-custody”, realizzato nel 2002 per il Dipartimento della Salute statunitense sulla base di 33 studi condotti su 1.846 bambini residenti con un solo genitore e 814 residenti con entrambi, attesta che:

  • “i bambini in custodia congiunta, sia fisica che legale, stanno meglio di quelli a custodia monogenitoriale indipendentemente dalla loro età”;
  • “la presenza e la compartecipazione di padri non coabitanti è comunque associata a benefici comportamentali, emozionali e scolastici”;
  • “l’avere due case non rappresenta alcun rischio per i figli”;
  • “la custodia congiunta riduce i conflitti”.

Anche il rapporto Raschetti del 2005 dal titolo “Bien-fondé de la résidence alternée pour les enfants dont les parents sont séparés” afferma che:

  • “i tempi paritetici permettono al minore di mantenere una relazione profonda con entrambi i genitori”;
  • “la residenza monogenitoriale porta a maggiori ritardi nello sviluppo rispetto a quella bigenitoriale”;
  • “i bambini curati da un solo genitore sono meno socievoli”;
  • “la presenza costante del padre nei primi anni di vita evita che vi siano ritardi nello sviluppo cognitivo, riduce l’ansia e facilita la socialità”;
  • “i minori di sesso maschile sentono di più la mancanza del padre rispetto alle femmine nei primi due anni di vita”.

Altri studi – e nello specifico quelli intitolati “Life satisfaction among children in different family structures: a comparative study of 36 western societies” (Bjarnason, Bendtsen, Arnarsson et al., 2012), “Living in two homes – A Swedish national survey of wellbeing in 12 and 15 year olds with joint physical custody” (Bergström, Modin, Fransson, Rajmil, Berlin, Gustafsson, Hjern, 2013) e “Fifty moves a year: is there an association between joint physical custody and psychosomatic problems in children?” (Bergström, Fransson, Modin, Berlin, Gustafsson, Hjern, 2015) – si collocano sulla stessa linea, riportando di:

  • evidenti benefici psicofisici nei minori che frequentano in egual misura la casa della mamma e quella del papà;
  • un sensibile crollo della conflittualità nelle coppie con collocazione alternata paritetica;
  • una maggiore salute psicosomatica nei bambini che crescono in collocazione alternata paritetica tra i genitori rispetto a quelli che vivono maggiormente solo con uno dei due.

“The living conditions of children with shared residence – The Swedish example”, lo studio pubblicato nel 2017 da Emma Fransson (a cui fa riferimento anche il Tribunale di Brindisi nelle “Linee guida per la Sezione Famiglia”), sottolinea inoltre che “il potenziale stress di vivere in due case diverse, magari in due quartieri diversi, viene controbilanciato dagli effetti positivi del mantenere contatti con entrambi i genitori”.

Ennesima conferma arriva da “Self-esteem in children in joint physical custody and other living arrangements” (Turunen, Fransson, Bergström, 2017), studio che asserisce che “i bambini che vivono con un solo genitore dimostrano un’autostima più bassa rispetto a quelli che vivono in una famiglia unita o alternativamente con entrambi i genitori”.

Secondo gli studi sopra citati (alcuni davvero recentissimi), quindi, lo sbilanciamento dei ruoli insito nella minore frequentazione dei figli con uno dei genitori comporta uno sbilanciamento anche nella loro crescita psicologica, dal momento che entrambi i genitori, seppure con funzioni diverse, hanno pari importanza nella formazione del loro psichismo. Ecco perché, anziché essere escluso a priori come finora accaduto in Italia, senza farne necessariamente un dogma indiscutibile (ogni situazione è infatti unica e come tale va valutata), l’affidamento condiviso con collocazione alternata paritetica dovrebbe essere la prima opzione da considerare e incentivare.